Falsi miti sui migranti e come sfatarli

Oggi le migrazioni sono un tema molto sentito, in Italia e non solo, attorno al quale girano svariate frasi fatte e falsi miti che in questo articolo analizzeremo e proveremo a sfatare.

La portata del fenomeno migratorio è ingente: consultando i dati dell’Unicef leggiamo che, dal 2015, oltre 2,6 milioni di persone hanno attraversato il mar Mediterraneo scappando da guerre, violenze e povertà e sperando in un futuro migliore nei Paesi europei. Di questi più di 30.100 hanno perso la vita, lasciando in mare, oltre ai corpi, tutte le speranze che li avevano portati ad affrontare quel viaggio tortuoso.

Dall’inizio del 2024 gli arrivi da Mediterraneo e Balcani sono stati più di 168.900 di cui circa 40.200 minorenni, numeri molto grandi anche se in calo rispetto al 2023.

Nelle ultime settimane siamo andate a vedere due eventi sulle migrazioni, che ci hanno mostrato la questione dal punto di vista dei migranti stessi. Uno è la lettura scenica “Quel mattino a Lampedusa” del 14 novembre a cui hanno partecipato alcuni studenti del Romero in qualità di lettori e tecnici e un pescatore che ha salvato delle vite il 3 ottobre del 2013. L’altro è una mostra organizzata dal gruppo scout Alzano-Nembro all’Abbazia di San Paolo D’Argon che riguarda in particolare la rotta balcanica e l’esperienza di volontariato che i ragazzi hanno fatto quest’estate in un centro di accoglienza a Trieste.

Innanzitutto, se pensiamo al termine “migrante”, cosa ci viene in mente? Un ragazzo africano su un barcone oppure un cittadino italiano che si trasferisce all’estero per lavorare? La parola “migrante” non ha un’etimologia difficile eppure viene usata in modo sbagliato anche da persone istruite. Participio presente del verbo migrare, essa designa qualsiasi individuo che dalla sua sede d’origine si sposti verso una nuova sede. L’accezione negativa che oggi viene data al termine è quindi impropria.

“È colpa loro se l’Italia è sovraffollata”

Per smontare questa falsa credenza basta guardare un semplice dato demografico: ci sono 5 milioni 308 mila cittadini stranieri residenti in Italia e 6 milioni 134 cittadini italiani residenti all’estero. Da gran parte dei media ci vengono forniti esclusivamente dati di immigrazione (l’emigrazione è menzionata solo quando si parla di fughe di cervelli o di scarsità di medici in Italia), quando però gli emigrati superano di un milione gli immigrati.

A proposito di numeri: quante volte abbiamo sentito dire che l’Italia è un Paese di vecchi? L’età media degli stranieri residenti in Italia è 35 anni, mentre quella dei cittadini italiani è 47, perciò l’immigrazione è un fenomeno che abbassa la media effettiva di età sul territorio italiano, e questo è un fatto positivo.

“Vengono per rubarci il lavoro”

Ah sì? E da quando in qua un italiano vorrebbe fare il badante h24, fare le pulizie o raccogliere pomodori per 10 ore sotto il sole prendendo 2€ a cassa e in condizioni igienico-sanitarie scandalose?

Purtroppo in Italia un immigrato proveniente da un Paese non occidentale fatica ad ottenere una posizione lavorativa rilevante anche se è istruito e competente, per via di stereotipi e pregiudizi da parte dei datori di lavoro e in generale della nostra società.

I migranti non vengono per rubarci il lavoro. Vengono per scappare da condizioni di vita disumane. Vengono per costruirsi un’esistenza migliore. E si accontentano di svolgere mansioni che gli italiani non fanno perché non vogliono “sporcarsi le mani”, per di più sottopagati e spesso senza neanche rendersene conto.

“Contaminano la nostra cultura”

Coloro che hanno un orientamento ideologico conservatore tendono a porsi in difesa della propria cultura di appartenenza, scordandosi però un fatto importante: la tradizione di un Paese, quella italiana più di altre, deriva proprio da un incontro tra culture diverse. Il concetto di “incontro” dovrebbe essere sostituito a quello opposto di “scontro”. Uno scambio culturale è sempre arricchente. Chi sostiene la tesi che gli immigrati “infettino” la tradizione italiana spesso non è neanche in grado di esporre le usanze dei Paesi da cui provengono i migranti. Inoltre oggi tramite i social acquisiamo feste, usi e ricette di altre nazioni (basti pensare al baby shower party o ai crumble cookies statunitensi) e queste non vengono additate come contaminanti, a differenza di ciò che proviene dai Paesi africani e arabi.

“Aiutiamoli a casa loro”

Forse uno degli slogan più abusati da chi si illude di risolvere la questione migratoria rimandando le persone giunte in Italia nel loro Paese d’origine, ci fa riflettere su quanto la retorica abbia potere. Quando, effettivamente, chi pronuncia queste parole, fa poi qualcosa di concreto per migliorare le condizioni di vita dei Paesi da cui provengono i migranti? 

Nel parlare di fenomeni migratori dovremmo impegnarci tutti a non utilizzare la contrapposizione “noi” (parola pronunciata con fierezza) e “voi” (accompagnata da un tono di voce schifato e di superiorità), la quale non fa altro che erigere un muro. Per abbattere questo muro ed aprirsi all’accoglienza è necessario che ognuno si prenda la responsabilità di restare informato e di cercare sempre i dati ed i fatti reali, così da non restare intrappolati nelle parole che vengono usate come scuse per rimandare “a casa” chi è scappato dal suo Paese proprio perché sperava di sentirsi più a casa in Italia.

Chiara F. e Gaia F.


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