Sabato 25 novembre le classi 3R, 5N, 5R, 5U hanno incontrato il professor Giorgio Cavalli che ha presentato il diario di guerra del nonno: “Alla maniera dei briganti. La Grande Guerra del capitano Ettore Cavalli”. L’incontro si è aperto con la lettura di alcuni brani da parte dei ragazzi di quinta intervallati da brevi brani di violino cui è seguito un intenso dialogo con l’autore.
“Alla maniera dei briganti” non è un diario di guerra come tanti altri, anche se forse, così a primo impatto, è difficile a credersi. Nemmeno io mi capacitavo della sua importanza prima dell’incontro con l’autore, Giorgio Cavalli, un ex professore la cui vita è stata scombussolata da un ritrovamento inaspettato: il diario di suo nonno Ettore, uno dei tanti che la prima guerra mondiale l’ha vissuta. Definirlo così, però, è a dir poco riduttivo. Ettore, con le sue parole scritte in un diario del secolo scorso, ha risvegliato in me la voglia di esprimere la mia opinione senza paura, perché se lui ne ha avuto il coraggio di farlo durante il fascismo allora è davvero possibile.
Prima dell’incontro ammetto di non essere stata convinta della sua riuscita: “È un racconto come se ne sentono a bizzeffe” mi dicevo, ma mi sono subito ricreduta nel momento in cui mi sono presentata al signor Cavalli, il nipote di Ettore. In quel momento ho realizzato quanta concretezza avesse quell’incontro, e di conseguenza ammetto di essermi sentita non all’altezza, perché poco dopo avrei dovuto leggere degli estratti di alcune pagine del suo libro. Solo allora ho capito l’importanza di quella testimonianza, e di quanto il signor Cavalli si stesse esponendo per noi.
Il momento di dialogo dopo le letture è stato toccante, si è parlato di prima guerra mondiale ma anche molto di più. Con parole per nulla scontate Giorgio, che mi permetto di chiamare per nome, ci ha invitati a riflettere su temi di attualità, e lo ha fatto in maniera a mio avviso paterna. Non è scontato oggi saper parlare di temi tanto complicati e controversi come quelli che stanno caratterizzando questi ultimi mesi, soprattutto di fronte ad una settantina di ragazzi giovani che ne hanno la testa piena. Tuttavia penso ci sia riuscito alla perfezione, perché con parole ponderate e semplici ha riassunto il concetto di pace, che oggi sembra essere perduto. “Pace non significa smettere di difendersi, non significa lasciarsi sopraffare e aspettare che finisca. Costruire la pace significa ascoltare l’altro e rendere questo incontro prezioso. Proprio quando abbiamo pensieri diversi e cogliamo questo momento per confrontarci e crescere si coltiva la pace”.
Queste parole sono state per me, che in questo ultimo mese mi sono lasciata travolgere dagli avvenimenti di cronaca, molto importanti. Oggi più che mai sento come molti altri il dovere di schierarmi, di non restare indifferente, ma a cosa serve davvero? Nero o bianco, Palestina o Israele, filorusso o filoucraino. Odio o amore. Quanto sarebbe più bello il mondo se smettessimo di focalizzarci su noi stessi e sul dovere di doverci forzatamente schierare? Di fronte ad avvenimenti simili, a vittime innocenti, come possiamo dare importanza solo ad alcune vite, metterle su due bilance tarate diversamente?
La pace germoglierà solo quando tutti saremo in grado di uscire dalla nostra bolla di dolore, di incontrare il viso rigato di lacrime dell’altro e non abbasseremo lo sguardo, perché forse ci renderemo conto che non siamo poi così diversi.
Per questo spunto illuminante ringrazio Giorgio ed Ettore per la loro testimonianza, accomunata da un legame indissolubile che gli auguro di poter continuare a coltivare tramite questo tipo di incontri, che fanno bene alla storia e all’anima.
Claudia S. (5R)
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