Vedere il mondo attraverso la poesia – Episodio 1: L’opinione pubblica
L’OPINIONE PUBBLICA
-Sono felice!
-Con che diritto?
E lo fucilano con lo sguardo
in attesa di meglio
(Jaques Prévert – Sole di Notte)
La felicità, quando dichiarata apertamente, sembra quasi una provocazione. Nei versi di Prévert, la semplicità di un “sono felice” diventa un atto di sfida, un’affermazione che spiazza e infastidisce, come se l’essere felici fosse una colpa o un privilegio che va giustificato. Il “meglio” di cui parla Prévert – quell’attesa continua di qualcosa di superiore – è una trappola in cui spesso restiamo catturati: un ciclo di insoddisfazione che ci impedisce di apprezzare ciò che abbiamo.
La felicità come emozione effimera
In psicologia, la felicità è definita come un’emozione intensa, ma di breve durata. Proprio per questo, il bisogno di prolungarla ci spinge a cercare continuamente qualcosa di nuovo, qualcosa che possa mantenerla viva. Ed è qui che la felicità si trasforma in un’ossessione: invece di viverla, la rincorriamo, convinti che risieda sempre nel “meglio” che non abbiamo ancora raggiunto.
La poesia di Prévert riflette questa dinamica: l’atto semplice e spontaneo di dire “sono felice” viene immediatamente giudicato e messo in discussione. Sembra quasi che la società ci chieda di giustificare la nostra felicità, di dimostrare che meritiamo di essere sereni.
L’eudaimonia: una felicità più profonda
Gli antichi greci avevano una visione diversa della felicità. Per loro, l’eudaimonia non era un’emozione passeggera, ma uno stato di benessere profondo e duraturo, legato alla realizzazione personale. Non si trattava di inseguire il “meglio” materiale, ma di vivere in armonia con il proprio daimon, ovvero la propria essenza più autentica.
Questa concezione sembra quasi opporsi al mondo descritto da Prévert, in cui la felicità autentica è soffocata dalle aspettative altrui. L’eudaimonia ci invita a guardare dentro di noi, a trovare la nostra strada senza lasciarci influenzare dai giudizi o dalle mode del momento.
La società del consumo e il giudizio altrui
I versi di Prévert ci parlano di una società pronta a giudicare chiunque osi essere felice senza conformarsi alle sue regole. Questo atteggiamento si riflette chiaramente nel consumismo moderno, in cui l’immagine sociale conta più della sostanza.
Il “meglio” a cui accenna Prévert è il motore del nostro sistema economico: l’idea che ci sia sempre qualcosa di più desiderabile da ottenere, che sia un oggetto, uno status o una posizione sociale. Le nostre scelte sono guidate non tanto dai nostri bisogni autentici, ma dalle aspettative degli altri, dalle tendenze dettate dai media e dalle mode del momento. Così, il possesso di un bene ci fa sentire temporaneamente accettati, ma ben presto l’effetto svanisce, e ci ritroviamo a inseguire un nuovo “meglio”.
Il diritto alla felicità e il coraggio di essere autentici
Nel preambolo della Costituzione degli Stati Uniti del 1787, la felicità viene proclamata come un diritto. Ma cosa significa, davvero, considerare la felicità un diritto? Significa riconoscere che ogni individuo ha il diritto di essere se stesso, di vivere secondo i propri valori e desideri, senza dover rispondere ai giudizi degli altri.
Eppure, nei versi di Prévert, vediamo quanto sia difficile esercitare questo diritto. Basta dire “sono felice” per essere immediatamente messi sotto accusa, quasi fosse un atto di arroganza o una provocazione. La felicità diventa un atto di resistenza: il coraggio di rivendicare la propria autenticità in un mondo che cerca di uniformarci.
La felicità come ribellione
Prévert, con la sua poesia, ci mostra una verità scomoda: nella società moderna, la felicità non è solo un’emozione, ma un atto di ribellione. Essere felici significa sfidare le aspettative, andare controcorrente, scegliere di vivere per sé stessi e non per compiacere gli altri.
La felicità autentica non si trova nel “meglio” che ci viene promesso, ma nel saper apprezzare ciò che già abbiamo, nel coltivare la nostra essenza più profonda, come suggerivano gli antichi greci. È il coraggio di dire “sono felice” senza chiedere il permesso, senza paura di essere “fucilati con lo sguardo”.
Riscoprire questa felicità richiede un lavoro su di sé, un ritorno all’essenziale. Non si tratta di avere di più, ma di essere di più: più consapevoli, più liberi, più autentici. Forse allora, come suggerisce Prévert, potremo dire “sono felice” senza doverci preoccupare di chi aspetta “il meglio”.
… to be continued …
Chiara G. (4N) e Douaa L. (4A)
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